Le tempeste oceaniche, da quelle di minor potenza sino ai potenti uragani tropicali, i cui venti ululano letteralmente come lupi in una bufera di neve, flagellano durante tutto l’anno le distese marine e terrestri del nostro pianeta.
Sia nell’emisfero boreale (Nord America, Europa e Asia), sia in quello australe (Sudamerica, Africa del sud e Oceania), si generano continue aree di bassa pressione. I venti raggiungono velocità incredibili, rendendo il mare un nemico insormontabile e le montagne dei luoghi inospitali per l’Homo sapiens.
Segni nelle rocce
Il nostro pianeta ha una storia geologica vecchia di quattro miliardi e mezzo di anni. Come dedurrete è scientificamente impossibile decifrare ogni singolo evento ciclonico che ha interessato la superficie terrestre. Di fatto le tempeste e gli tsunami hanno lasciato (e lasciano tuttora) segni indelebili nelle rocce, nei sedimenti e nei nostri animi.
Gli scienziati, soprattutto a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, hanno effettuato decine di studi sulle zone costiere di tutto il mondo. Questi studi hanno interessato sia gli arcipelaghi corallini sia le strutture geologiche preesistenti, di epoche passate, insomma.
Un particolare focus si è fatto sulle rocce carbonatiche riconducibili a fasce tidali di paleo-barriere coralline e di paleo-lagune in ambiente tropicale.
Da geologo mi piace ricordare che la scuola italiana di sedimentologia delle rocce carbonatiche vanta un certo prestigio in ambito mondiale, competendo magistralmente con la scuola olandese, americana, giapponese e australiana.
Ma torniamo a noi. Le tempeste, specialmente quelle più potenti (come i cicloni), sono raccolte in specifici depositi sedimentari. Un po’ come se fossero i modellini di nave intrappolati nelle bottiglie; questi sedimenti rimarranno intrappolati lì per migliaia, se non milioni, di anni.
Tsunamiti
Le onde causate dai maremoti, come gli tsunami (dal giapponese onda di porto), lasciano segni molto evidenti nei depositi rocciosi antichi e sabbiosi costieri moderni. Queste rocce si chiamano tsunamiti.
Gli scienziati sono talvolta chiamati a differenziare minuti strati sabbiosi, magari di poche decine di centimetri, lasciati sia dagli tsunami sia dalle tempeste tropicali; non è affatto facile farlo, ma ciò è molto importante per poter interpretare correttamente la frequenza di questi fenomeni in una certa area.
Ne risulta un’ottima chiave di lettura per lo studio del presente e per eventuali prevenzioni da applicare in eventi futuri.
Negli ultimi trent’anni autorevoli geologi italiani, americani e giapponesi, cooperando in campo, hanno studiato decine di zone sul pianeta dove esiste una certa frequenza di questi depositi sabbiosi.
Caraibi
Zone come i Caraibi, come le Bahamas e Puerto Rico, hanno mostrato un certa ricchezza di queste rocce. Sono stati identificati strati di tempestiti, causa uragani, databili a cinquecento mila anni fa (pleistocene medio-superiore), sino ai recenti cicloni degli anni sessanta.
Sull’isola di Caicos (Bahamas) si è analizzato un deposito sabbioso, intervallato a strati di deposizione algale coralligena di circa trenta centimetri, in cui si sono identificati chiaramente delle tempestiti riconducibili agli uragani Donna (agosto 1960), Betsy (agosto 1965) e Kate (novembre 1985).
L’uragano Carla, del settembre 1961, lasciò ampi e spessi depositi in molte zone dei Caraibi e del Golfo del Messico. L’uragano Isabel, del settembre 2003, lasciò importanti testimonianze geologiche; in questo deposito, in particolare, si sono analizzate molto bene le caratteristiche granulometriche.
Curiosità sui nomi degli uragani
Durante la Seconda Guerra Mondiale agli uragani vennero dati nomi femminili principalmente per la comodità dei meteorologi. Per evitare critiche sessiste dal 1978 si utilizzano anche nomi maschili.
La credenza che molti cicloni più violenti avessero nomi femminili è quindi legata solo all’uso precedente. Attualmente i nomi sono assegnati in base all’area geografica di pertinenza.
Altre aree del pianeta
Altre zone dove è stato possibile ricostruire modelli di questi fenomeni, grazie alle rocce rinvenute, sono il Perù, Papua-Nuova Guinea, Marocco, Alberta (Canada) e la Nuova Zelanda, in particolare l’isola del Sud (versante orientale); qui un recente studio americano-neozelandese ha messo in luce un deposito di rocce riconducibile a un potente terremoto, cui seguì uno tsunami di proporzioni enormi databile agli inizi del 1900.
Non dimentichiamo gli eventi più recenti come il maremoto in Indonesia del 2004, l’uragano Katrina del 2005 e il maremoto di Sendai in Giappone del 2011 (Articolo Tsunami 2011).
Tempestiti e tsunamiti
Nel pleistocene e nell’olocene sia le tempestiti sia le tsunamiti si presentano con spessori variabili dai venti ai quaranta centimetri al massimo. L’estensione areale dei depositi, invece, è relativamente alta, raggiungendo parecchie decine di chilometri quadrati di costa.
In alcuni casi, come in Indonesia nel 2004, degli atolli sono stati completamente sommersi da depositi di tsunamiti, cancellando ogni forma di vita.
Le granulometrie, per entrambi i depositi, sono molto variabili dal letto al tetto della sequenza sabbiosa (letto e tetto sono vecchi termini dei minatori, indicano la parte bassa e la parte alta). Generalmente la sequenza tipo mostra clasti di maggiori dimensioni verso il basso, per poi migrare verso l’alto a una granulometria più fine.
La presenza di resti organici, in particolare vegetali e arborei, è spesso attribuita a tsunami, ma molti geologi non concordano con questa teoria, elaborata da ricercatori americani. Questi resti organici sono inoltre orientati: i rami e i tronchi più piccoli si orientano in base al flusso della corrente principale, come nelle icniti (impronte organiche) dei depositi fluviali.
Il meccanismo fisico, che esso sia fluviale o marino costiero e profondo, è esattamente lo stesso.
Le tempestiti, al contrario delle tsunamiti, hanno una distribuzione areale minore. Queste rocce presentano una variazione granulometrica minore (in alcune tempestiti è ben visibile la laminazione, minore di 1 centimetro).
Queste lamine, se osservate al microscopio, sembrano essere costituite prevalentemente da film algale che intrappola (come un carta moschicida) il sedimento più fine.
Stratificazione incrociata gibbosa
In merito alle successioni rocciose antiche (da 3 a 450 milioni di anni fa), oltre alle tempestiti e alle tsunamiti, è possibile identificare le rarissime sismiti (dovute a particolari terremoti). Un buon indicatore di campo è la HCS (Hummocky Cross Stratification) che noi geologi italiani definiamo Stratificazione Incrociata Gibbosa (o anche monticolare, o persino concavo-convessa).
Si tratta di una stratificazione ondulata degli strati di roccia che molti sedimentologi attribuiscono al paleo-flusso oscillatorio del moto ondoso, cui va sommata l’azione delle paleo-correnti generate dal passaggio di una tempesta molto potente.
Queste rocce hanno la particolarità di essere stratificate con lievi inclinazioni e convessità con angoli di circa 10° o 15° gradi al massimo (escludendo la deformazione post deposizionale).
La tempestite, stricto sensu, raggiunge la sua massima deposizione volumetrica di sedimento quando le onde di tempesta sono in fase calante. Le tsunamiti, al contrario, si distinguono grazie a superfici erosive alla base della HCS, che è comune, in definitiva, ad entrambe le tipologie di rocce.
Conclusioni
Come si evince queste analisi sono relativamente semplici da eseguire su depositi moderni, ma sono di certo molto difficili su depositi antichi, di stampo prettamente roccioso.
Talvolta si può giungere alla soluzione dell’enigma aprendo lo sguardo alle formazioni rocciose su un più largo areale, studiando fenomeni tettonici (faglie e sequenze di subsidenze) collegati anche a paleo-sismi, che possono far attribuire il deposito in studio a una tsunamite, piuttosto che una tempestite.
A tutto ciò bisogna allegare un attento studio dei fossili e dei microfossili, nonché sul polline e sui paleosuoli della zona (altri indicatori importanti).
Per chi volesse, rimando a una lettura più specifica di testi universitari di sedimentologia paleontologia e stratigrafia. In particolare consiglio i seguenti: Interpretazione delle Facies e Stratigrafia, Rocce e Successioni Sedimentarie, Introduzione alle Rocce Carbonatiche e Introduzione alla Paleontologia.
Aaronne Colagrossi
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